L’onda lunga della marea nera che minaccia Lampedusa, rischia d’infrangersi sul vicino referendum del 17 aprile. Si sa poco o nulla su quella macchia scura che, dal 13 marzo scorso, si sta allargando sulle coste delle isole Kerkennah, nella regione di Sfax in Tunisia, a 120 chilometri a sud di Lampedusa.
Lo sversamento sarebbe stato causato da una perdita di petrolio fuoriuscito da uno dei pozzi della Thyna Petroleum Services, società della tunisina National Oil Company e della Etap – Entreprise Tunisienne d’activités Pétrolières. Secondo quanto riportato dai media locali, i ministeri tunisini della Salute e dell’Ambiente hanno aperto un’inchiesta per accertare le responsabilità dell’accaduto. Sulla vicenda ha alzato la voce anche Legambiente che ha chiesto al governo italiano di intervenire per fare chiarezza sull’entità dei danni e sulle responsabilità.
La macchia nera si presenta, dunque, con un tempismo perfetto. A poco meno di un mese dal referendum che, qualora raggiungesse il quorum con una maggioranza di “sì”, costringerebbe le compagnie petrolifere a interrompere le ricerche di idrocarburi, entro le 12 miglia marine, una volta scadute le concessioni. Intanto, tre chilometri di spiaggia, nelle Kerkennah, sarebbero state già invase dal greggio, mettendo in ginocchio una popolazione che vive principalmente di pesca.
“Quello accaduto in Tunisia è il frutto di una politica scellerata e fuori dalla storia – tuona Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente Sicilia, raggiunto al telefono da Siciliainformazioni – . Pensare che bisogna continuare a cercare petrolio nel Mediterraneo è una follia, perché qualsiasi incidente, piccolo o grande che sia, potrebbe mettere in pericolo il futuro del nostro territorio”.
A chi teme che la vittoria dei “sì” al referendum possa mettere a rischio diecimila posti di lavoro, Zanna risponde: “È una bufala creata ad arte per confondere l’opinione pubblica. Diecimila sono i dipendenti di tutto il comparto petrolifero italiano, se passa il referendum sarebbero eventualmente in discussione meno di 500 persone”. Sul fronte sicurezza, poi, spiega il presidente di Legambiente Sicilia, se prevarranno i “sì”, le regioni, terminato il periodo di concessione, potranno predisporre i controlli ai giacimenti, indispensabili per prevenire il rischio di incidenti. Perché se ieri è toccato alla Tunisia, domani a colorarsi di nero potrebbero essere i nostri mari.
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